Le parole del vino – Terza parte

Le parole del vino è un’analisi sull’uso di termini descrittivi del vino a cura del prof. Mario Ubigli e dott.ssa Maria Carla Cravero.

L’articolo è suddiviso in tre parti per motivi tecnico-editoriale:

  • la prima parte, pubblicata il 12 aprile 2024, ha trattato il tema de “L’importanza della parola” per l’assaggiatore;
  • la seconda parte, pubblicata il 13 aprile 2024 , ha sviluppato i temi de “La degustazione” e “Le liste ed i glossari”;
  • la terza parte commenta alcuni termini utilizzati per la degustazione e le relative conclusioni.

Le parole del vino: Vinoso

Ecco una prima considerazione a proposito dell’uso del termine Vinoso, la frase è la seguente:

“Fruttato, profumo delle uve che si perde presto sostituito dall’odore vinoso. L’odore vinoso o la vinosità del vino dipende principalmente dalla quantità di etere enantico e d’alcol che questi contiene. … La vinosità è comune a tutti i vini, essa però si manifesta più apertamente nei vini neutri e in quelli più giovani.”

Barone Giovanni a Prato

C’è a questo proposito una leggera distonia fra il Barone e Jullien.

Questi per definire il vocabolo vinoso, di fatto, si avvale di 3 termini: vinoso, vinosità e avvinare. Vediamoli:

Vinoso. Si dice propriamente di un vino che ha molta forza e dello spirito”. “Vinosità. Gusto e forza vinosa. Questa parola è talvolta impiegata per indicare l’alto grado di spirito”. “Avvinare. Consiste nel fornire ad un vino una maggiore forza vinosa o più spirito, è il caso di vini poco alcolici miscelati con altri di qualità e di forza superiore; ma i vini del sud della Francia, ordinariamente utilizzati a questo scopo, sono essi stessi stati avvinati ovvero sono stati arricchiti in misura più o meno consistente di acquavite o di spirito di vino.”.

Abbiamo due versioni della parola Vinoso.

Che un vino abbia come caratteristica quella di essere vinoso a tutta prima è a dir poco sorprendente, altro discorso se il termine ha un significato specifico.

Il testo di Jullien, nella nostra edizione è del 1822, quello di a Prato del 1896, ci sono in mezzo 74 anni, circa due generazioni di vinificatori.

Jullien fa riferimento alla situazione francese alquanto evoluta dal punto divista culturale e tecnologica, mentre il nostro Barone scrive in un contesto culturale certamente dinamico, piuttosto attivo sia sotto il profilo culturale sia sotto quello tecnico e produttivo, ma reduce sino alla metà del secolo da una viticoltura e da una pratica enologica di tipo medioevale.

Non sappiamo quanto questa situazione abbia indotto interpretazioni diverse del termine vinoso. Certamente il vocabolo risulta di significato equivoco.

Le parole del vino: Retrogusto

“Senza dubbio la parte più difficile e più importante nell’assaggio dei vini è affidata all’organo del gusto.”

Questo pensa Giovanni a Prato che, tra l’altro, considera con la parola gusto le percezioni relative agli stimoli della cavità orale e sapori gli stimoli del dolce, dell’amaro, dell’acido e del salato.

Par di capire, da alcune osservazioni, che a parere di quest’Autore la percezione retro-olfattiva sia più efficace di quella orto-olfattiva opinione non condivisa, ad esempio, da alcuni neurobiologi attuali come Shepherd che sostiene trattarsi addirittura di percezioni diverse.

 Il Barone Giovanni dedica un’attenzione particolare al Retrogusto, vediamo come:

All’estremità posteriore del palato … le sensazioni prodotte dal vino … non sono sempre fuggevoli, ma restano, secondo i casi, impresse per un tempo più lungo, che può variare dai 3-4 sino a 25 minuti secondi, un’ora e più.” 

Sembrerebbe che non ci sia ancora la distinzione tra il concetto di persistenza (3-4 secondi sino a 25) e quello di retrogusto (un’ora e più).Infatti prosegue:

“Questa impressione del gusto si chiama barbaramente il ‘retrogusto’ (dal francese: arriére-goût,  dal tedesco: Nachgeschgeschmack). Esso manifesta all’assaggiatore certi aromi e sapori (come quelli  di legno, dell’amaro, di muffa ed altri) che prima non si poterono scoprire affatto o solo debolmente, e serve in parte a far apprezzare la quantità di estratto, cioè il corpo, e la sapidità (sève dei francesi) del vino”.

La frase appena riportata conferma ulteriormente la confusione del glossario in uso fra il retrogusto, individuato, ma non definito e ciò che Vedel circa 70 anni dopo definirà con il termine persistenza

Infatti, l’enologo francese Vedel, affermerà l’esistenza di una caratteristica che si identifica con la persistenza aromatica intensa.

Si tratta di una permanenza dell’aroma che perdura quando il vino non è più in bocca.

Perdura per un periodo che varia da 2 a 16 minuti secondi, ed ha una valenza estremamente positiva tant’è vero che è un indicatore di qualità del vino.

Aspetto strano, i minuti secondi vennero denominati “caudalie” (termine che riteniamo dipenda dal latino “cauda”, vocabolo appropriato per le percezioni finali).

Il termine che avrebbe dovuto sostituire i secondi non ha avuto molto successo, infatti, è caduto in disuso.

Attorno all’anno 2000 si tenne un convegno sui distillati in quel di Cognac, uno degli AA. partecipò con un poster in cui utilizzò la parola “caudalies”.

Alcuni giorni prima dell’inizio del Convegno giunse una telefonata in cui garbatamente venne domandato che razza di composto fosse quello denominato “caudalies”

Riteniamo siano opportune alcune precisazioni

La persistenza, probabilmente, non è più considerabile aromatica intensa perché tale dizione era valida prima che prevalesse l’opinione di una definizione di carattere multisensoriale.

Poi la persistenza riguarda la memoria delle percezioni derivate dagli stimoli nella cavità orale, dunque, è un prolungamento per un tempo limitato del percepito.

C’è da chiedersi che fine ha fatto il retrogusto.

Il significato di retrogusto attualmente riguarda:

“una connotazione negativa, perché con esso s’indica un aroma o gusto, o entrambi, completamente diversi dalle sensazioni che sostengono la persistenza … sono generalmente poco piacevoli o addirittura sgradevoli (note metalliche, di feccia, di putrido, di legno vecchio, di urina di topo, e altre ancora) e comunque sempre diverse dalle impressioni olfattive della persistenza.”

 Il loro tempo di permanenza supera di gran lunga quello di 12-16 secondi della persistenza dei grandi vini (questi concetti sono desunti da Luigi Moio, [1]). 

Abbiamo preso a pretesto, citando il Barone a Prato, un paio di differenze fra le liste di termini riscontrare in lingue diverse, anni differenti, località più o meno lontane, contesti storici, economici e sociali poco paragonabili.

Possiamo considerare, ora, un ulteriore aspetto che differenzia l’interpretazione che questi dà del termine Corpo rispetto, ad esempio, alla definizione che leggiamo in Jullien.

Il primo sostiene che il Corpo di un vino rappresenta l’estratto secco del medesimo, ossia la porzione restante del vino dopo l’allontanamento delle sostanze volatili (sostanze aromatiche e alcol) con opportuno riscaldamento, operazione consueta in un laboratorio di analisi.

Vediamo l’interpretazione del vocabolo Corpo fornita da Vedel:

“Vino che ha una certa consistenza, un gusto pronunciato, una forza vinosa, di solida sostanza, che riempie la bocca al contrario di un vino leggero, secco, freddo e acquoso.”Consistenza, gusto pronunciato, solida sostanza.

Il gusto, supponiamo che sia alla francese e riguarda le percezioni della cavità orale: i 4 o 5 gusti veri e propri, le percezioni tattili e la componente retro-olfattiva.

La forza vinosa che cosa rappresenta?

 Il concetto lo abbiamo riscontrato poche righe or sono: “Vinosità. Gusto e forza vinosa. Questa parola è talvolta impiegata per indicare l’alto grado di spirito.”

Rientra in gioco il Gusto, appena definito, e crediamo il grado alcolico.

Ma, lo si è appena visto, il Gusto non può prescindere dalla, fondamentale, componente retro-olfattiva e la vinosità comporta la presenza di un elevato grado alcolico.

Nella pesata dell’estratto secco non c’è posto né per l’alcol, né per la componente olfattiva portati via dal vino per effetto del calore.

Nel vino l’estratto secco è un dato convenzionale, di laboratorio, che rende convenzionale il termine Corpo, ma nel bicchiere dell’assaggiatore c’è il vino con il proprio grado alcolico e con la propria componente olfattiva.

Dunque, per finire, attualmente il Corpo del vino è rappresentato dall’estratto secco.

È un dato convenzionale e non reale espressione sensoriale del vino. Ci saranno dei validi motivi in base alla identificazione, noi non li conosciamo.   

Basta saperlo. Una conclusione possibile è che il cammino dei glossari è stato tutt’altro che semplice e senza intoppi.

Le parole del vino: conclusioni

Termina qui questo lavoro dedicato alle parole che descrivono le caratteristiche sensoriali del vino o quelle che definiscono le emozioni che il bere vino può suscitare.

I glossari del vino

Si è dunque parlato dei glossari del vino nella degustazione, argomento ben diverso da quello analogo che considera lo stesso procedimento nell’applicazione dell’analisi sensoriale. 

Una caratteristica fondamentale dei glossari della degustazione è l’adozione di termini traslati che, in quanto tali, non sono sorti per definire le caratteristiche del vino, ma altri aspetti del contesto in cui l’uomo e la donna vivono.

Dunque, molti dei termini usati per definire le caratteristiche sensoriali dei vini sono “dipendenti” dal contesto e mutano, in tempi più o meno brevi, in funzione del mutare del contesto stesso.

A questo proposito si sono trattati alcuni vocaboli dei glossari considerandone la genesi e l’evoluzione nel tempo.

Si sono presentate alcune liste di termini costituite, non a caso, in Francia, paese che per lunghi anni ha rappresentato il faro che ha illuminato il risveglio, verso la metà del XIX secolo, della nostra viticoltura e della nostra enologia, anche, nell’utilizzo dei termini adottati per definire le caratteristiche sensoriali dei vini.

Se del vino si parla abbiamo, per forza di cose, dovuto considerare il ruolo fondamentale di quanti, il glossario, giorno dopo giorno hanno creato, conservato, commentato, utilizzato contribuendo a farne un’occasione e uno strumento di cultura.

Degustazione o analisi sensoriale?

La figura dell’assaggiatore ovviamente è fondamentale nella diffusione del saper bere, del bere sano, del comunicare il vino in modo tale che quanti sono interessati possano essere gratificati da non conoscere del vino solo il nome. 

La degustazione dei vini ha perduto un’importante funzione di monopolio, attorno agli anni 80 del secolo trascorso, con l’avvento, anche nelle sale di degustazione:

  • dell’analisi sensoriale,
  • dei metodi discriminatori,
  • dei termini descrittori,
  • delle liste di termini precostituite,
  • dell’avvento di metodi statistici non parametrici e “costruiti” su misura per i dati forniti dai panel.

 L’analisi sensoriale si propone di ottenere dati il più possibile vicini a quelli della realtà, la degustazione diventa realtà se esiste il consenso fra i vari assaggiatori.

 Attualmente gli studi di neurobiologi, psicologi, genetisti approfondiscono di giorno in giorno le informazioni sul rapporto tra il vino e il consumatore soprattutto da un punto di vista delle emozioni, probabilmente sottraendo ulteriore spazio alla comunicazione orale.

Apparentemente la degustazione dovrebbe cercarsi una soffitta per rinchiudervisi.

Paradossalmente, a nostro avviso, nel nostro cotesto culturale europeo o se vogliamo occidentale, nonostante le grida che da più parti atterriscono i consumatori poco informati sugli effetti catastrofici del consumo del vino, la degustazione può conquistarsi uno spazio importante, forse, fatto su misura.

 Si è detto che il rapporto con il vino è un “rapporto dialettico” perché del vino che si beve non si può non parlare, a maggior ragione quando il prodotto di certe fasce di consumo diventa un’esperienza particolare di gratificazione.

 Siamo d’accordo con Moio [1] quando osserva che la degustazione non si può considerare:

“una procedura puramente tecnica o una dimostrazione di abilità soggettiva … per degustare un vino non sono sufficienti solide conoscenze metodologiche, una vasta esperienza o buona memoria olfattiva, ma occorre essere ‘artisti ‘.

 Espresso il concetto in questa maniera si potrebbe pensare ad un dono particolare chi ce lo ha e chi no.

 Poi quale ruolo potrebbe spettare alla conoscenza verbalizzata del vino espressa da un glossario?

Il vino è bevanda sociale, si beve in compagnia, spesso la solitudine induce a bere in maniera esasperata e parossistica, patologica, il vino dell’artista è vino della gioia, appaga la sensibilità estetica grazie all’armonia fra le diverse componenti che hanno un nome corrispondente alle percezioni sensoriali, percepirle e non definirle è frustrante.

Artisti si nasce o si diventa?

Secondo noi l’artista è colui, o colei, che s’impegna per talento, o decisione della volontà, a coltivare in sé alcune convinzioni tra cui primeggia la sensibilità al bello e al buono come fattori di benessere.

 “Ricercare l’essenza più profonda del vino è un atto ludico” il vino non è necessario all’esistenza, come non lo sono la musica, l’arte della pittura o della scultura, ma proprio questa apparente “inutilità” lo rende importante e prezioso.

Il lessico della degustazione

Il lessico della degustazione non è lettera morta, ma si aggiorna di volta introducendo nuovi termini più rispondenti alle necessità dei tempi.

Sono ormai consolidate le presenze di nuovi vocaboli come Croccante, Ampio & avvolgente, Minerale, ecc.

Rosalia Cavalieri, docente di Filosofia presso l’Università di Messina e autrice del libro “Gusto. L’intelligenza del palato”, edito da Laterza, sottolinea, di fatto, la vitalità della comunicazione del vino e a proposito del Corpo di cui abbiamo appena visto i significati non proprio identici riportiamo a titolo di esempio, una serie di sinonimi:

“robusto, pesante, potente, forte, grosso, pieno, duro, oleoso, viscoso, che ne definiscono la consistenza … più recenti … muscoloso, carnoso, massiccio, snello, nerboruto” di evidente ispirazione tipo fitness, poi ancora “scolpito, ben costrutto, fabbricato, levigato”.

Il glossario del vino riguardante le caratteristiche sensoriali viene aggiornato, modificato in corso d’opera proprio perché chi lo utilizza è un artista.

 Questo è un segno di vitalità, perché esprime il bisogno/desiderio di comunicare e di definire, a prescindere dal contesto, le proprie percezioni, il proprio piacere. 

Nel 1981 si svolse a Vienna l’Assemblea generale dell’O.I.V. in quella occasione G.R. Cey-Bert, dell’Istituto di Ricerca delle preferenze alimentari di Ginevra, svolse una relazione dal titolo “Evolution du langage du vin en tant que moyen de communication.” Da essa traiamo la seguente osservazione:

il vino ha una dimensione emotiva e sociale molto importante, che costituisce un autentico linguaggio. Questo linguaggio è un linguaggio simbolico particolarmente ben sviluppato. Da più di 4000 anni, esprime, nella nostra civiltà, i bisogni fondamentali dell’umanità, i desideri, le speranze e le paure. I simboli sono dei mezzi di comunicazione portatori di significati ai valori psicologici, emotivi e sociali dei comportamenti alimentari. Il vino è uno dei prodotti alimentari più rituali i cui significati simbolici superano largamente quelli alimentari e fisiologici”

Afferma Massimo Donà, docente di Filosofia all’Università San Raffaele di Milano, autore di “Sapere il sapore – Filosofia del cibo e del vino” edizioni ETS, riprendendo in parte il concetto espresso da Moio, osserva che:

 “in quanto animali razionali, … saremmo in grado di svolgere attività che non riguardano il semplice sostentamento; attività che possono anche sembrare inutili … ma che pur tuttavia sembrano le sole in grado di nutrire l’anima (la psiche). O meglio, di soddisfare quella sete di conoscenza che ci caratterizza proprio in quanto (animali) dotati di logos (parola)”.

La parola è importante anche per chi porta il vino alla bocca, perché se possiede il glossario riesce, tramite il collegamento percezione-parola, a conoscere quali caratteristiche del  vino lo attraggono, sia secondo la modalità sensoriale sia secondo quella emotiva. 

Il piacere del vino è piacere dello stomaco, ma anche e soprattutto del cervello, oltre che, naturalmente, della parola.  Prosit!      

[1] L. Moio, Il respiro del vino, ed. Mondadori

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