Oleogusto: il sesto sapore?

L’identificazione dei sapori primari è sempre stata oggetto di ricerche e studi.

All’inizio del ‘900 Henning teorizza che tutti i sapori sono combinazioni delle quattro “qualità primarie” (amaro, acido, dolce, salato) percepite per mezzo di papille gustative confinate in certe zone della lingua.

Teoria confutata per la sua semplicità in quanto non è possibile ricondurre tutti i sapori percepiti ai quattro sopra citati. Infatti, nel 1908, Kikunae Ikeda isola l’acido glutammico e lo collega all’Umani che sarà poi riconosciuto come il quinto sapore primario.

Ulteriori ricerche stabiliscono che la percezione dei sapori non è limitata alla lingua ma anche alla radice della lingua, alla parte superiore della gola ed al palato molle.

Nei primi anni del 2000, studi di fisiologia cercano di definire la sensazione di grasso ma con esiti negativi, non si è in grado di separare il sapore grasso dagli altri fattori (vista, olfatto, sensazioni aromatiche). 

Solo nel 2007 gli studiosi riuscono a produrre una emulsione stabile tra acidi grassi e acqua, questo permette di verificare che il sentore, depurato da elementi di disturbo, può essere percepito in funzione delle differenti concentrazioni. 

Running, Craig e Mattes, della Purdue University, nel 2015 confermano che il sapore “grasso” può essere percepito in modo distinto in funzione della lunghezza della catena. In particolare gli acidi grassi a lunga catena forniscono sensazioni amare, a media catena sensazioni pungenti e a corta catena sensazioni acide.

A questo punto gli studiosi propongono, seguendo l’esempio dell’umami che deriva dal giapponese “sensazione gradevole” (umai: delizioso / sapido, mi: gusto), il nome “Oleogustus” (Oleogusto) dal latino “oleo”, olio e “gustus”, gusto.

Lo studio si concentra da quale sistema l’Oleogusto può essere recepito. Considerato che i gusti primari sono percepiti da recettori sotto forma di gemme gustative, localizzate nelle papille gustative, dove sono presenti i due sistemi di rilevamento degli stimoli:

  • uno basato su canali di membrana,
  • uno su specifici recettori delle proteine di membrana.

In funzione della lunghezza della catena degli acidi grassi si individuarono diversi recettori “specializzati”. L’unico risultato sensibile a tutti gli acidi grassi fu il CD36. Un recettore proteico a membrana, presente nell’epitelio linguale e nelle papille circumvallate e foliate.

Le ricerche possono essere un aiuto, ad esempio, alle persone a dieta, perché, come spiega il prof. Mattes: “… costruendo un lessico intorno al grasso e capendo la sua identità come un gusto, potrebbe aiutare l’industria alimentare a sviluppare prodotti degustativi migliori e comprendere meglio, con il contributo degli operatori del settore sanitario, le implicazioni sulla salute dell’esposizione grassa orale”.

Ovviamente non possiamo trovare l’Oleogusto del vino, ma potrebbe essere utile negli abbinamenti, come evidenziato dal prof. Zeppa nel suo articolo pubblicato sulla rivista dell’OICCE, “… tenere conto anche della presenza delle sostanze grasse e, soprattutto degli acidi grassi liberi presenti, che possono andare a modificare le sensazioni generali percepite sul prodotto …”.

Ad esempio nei formaggi (ricchi di acidi grassi a corta catena) l’acidità percepita dal CD36 si sommerebbe a quella già percepita dai recettori dell’acidità.  

Allo stato attuale, la ricerca dovrà essere oggetto di ulteriori approfondimenti per comprenderne tutti i meccanismi.

(Fonte prof. Zeppa,  www.purdue.edu , et al.)
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