La mappa sensoriale del Barolo è un viaggio a cura del prof. Mario Ubigli e dott.ssa Maria Carla Cravero tra guide e pubblicazioni del settore rilevando e confrontando le descrizioni organolettiche e sensoriali del Barolo.
La mappa potrà essere uno strumento utile per l’assaggiatore e/o il consumatore curioso per confrontare le sue percezioni organolettiche con quelle descritte.
Per motivi editoriali l’articolo viene suddiviso in più parti:
- nella prima, quella introduttiva, si descrivono le sensazioni emotive derivate dalla degustazione di Barolo,
- nella seconda si analizza il Disciplinare e i descrittori presenti nel libro di Martinelli: “Il Barolo come lo sento io”,
- nella terza si dettagliano i descrittori del Barolo presenti in alcune pubblicazioni, quelli risultanti da una e quelli risultanti da una ricerca finanziata della Regione Piemonte e le riflessioni finali.
Prima parte
“Introduzione alla mappa sensoriale del Barolo
Nel n. 30 del Giugno ’23, è comparso sulla pagina del Direttore de “L’Assaggiatore”, periodico dell’ONAV, un gradevolissimo, nella forma, e importante, nel merito, articolo di Daniele Cernilli intitolato “I linguaggi del vino”.
Nella prima parte l’A. individua 3 linguaggi specifici della comunicazione del vino quello:
- dei “termini tecnici mediati dall’enologia, con una prosa magari fredda ma supportata da conoscenze scientifiche”,
- dello “stile letterario, raccontato dove oltre al vino è importante il contesto, che può riguardare la storia di persone. I territori più che gli aspetti organolettici ….”,
- ultimo è rappresentata da “quelli che più che raccontare il vino provano a mettere se stessi al centro, usando termini gergali e raccontando le proprie sensazioni, come in una sorta di delirio estetico”.
Dove ci collochiamo noi con i nostri barbosi lavori pieni di parole? Forse nella prima categoria con qualche sprazzo della seconda.
Dove sta la scienza in articoli che non abbiamo perduto occasione di definire non affetti da virus scientifici?
In un principio elementare: la dimostrazione che quanto viene scritto corrisponde alla realtà dei fatti.
Da qui l’interminabile sequela di termini che non siamo obbligati a leggere, ma che, se volessimo controllare quanto dichiarato, eccoli a disposizione.
La premessa è lunga, ma l’articolo ancora di più, buon divertimento.
Massimo Donà è Ordinario di Filosofia presso l’Università San Raffaele di Milano e del vino si considera “amatore inesperto”, questo scrive in “Sapere il sapore” libro edito da ETS.
Tra i numerosi concetti che esprime troviamo di particolare pertinenza quanto segue:
“Uno degli errori più gravi e più comuni in cui oggi incorrono molti consumatori di vino è di credere che un certo vino, riconoscibile al nome e all’etichetta, debba essere sempre eguale a se stesso, e sempre buono se una volta è stato trovato buono … Mentre il vino … può paragonarsi soltanto a un essere umano e vivente, immisurabile, inanalizzabile se non entro certi limiti, variabile per un’infinità di motivi, effimero, ineffabile, misterioso. Esigere un vino “stabile” è la più grande sciocchezza che un bevitore di vino possa commettere.”
Poste queste premesse ha senso cercare, attraverso le descrizioni di un vino, di tracciare una mappa sensoriale, ovverossia un “percorso” da seguire attraverso le interpretazioni olfattive e gustative fornite da altri? Chi sono questi altri?
Sono gli assaggiatori che scrivono sulle Guide, sui periodici del settore, sono membri di panel attivi in analisi sensoriale, ecc., sono soggetti, enologi e non, che operano nel settore della degustazione in tempi diversi.
Dalla raccolta dei numerosi dati (le parole delle descrizioni) dovrebbero emergere, in primo luogo, le definizioni delle caratteristiche sensoriali, e, successivamente, sia quelle che ne rappresentano l’identità, sia quelle che ne costituiscono la diversità.
Va precisato che questa raccolta dati non si avvale di strumenti abitualmente in uso nell’analisi scientifica, non c’è elaborazione statistica, ad esempio, ma è semplicemente un’esposizione di termini adottati dai degustatori professionisti che, volendo, si possono utilizzare, come traccia, per la presentazione del vino, oppure per soddisfazione personale, visto che nel caso specifico siamo di fronte ad un grande vino, oppure per una piacevole conversazione fra amici o convitati. Insomma, ciascuno ne faccia quel che vuole!
Da dove viene il nome del vino?
È semplice la risposta: Barolo è un piccolo centro a una ventina di chilometri da Alba in direzione Sud.
Nel momento giusto (metà Ottocento) era feudo, fin dal XIII secolo, della famiglia Falletti, appassionati di opere socialmente meritevoli e di vino.
Le prime le realizzarono prevalentemente a Torino, mentre il secondo venne vinificato, per la prima volta in Barolo da qui il nome.
I Marchesi Falletti di Barolo, cui s’è fatto cenno, erano Carlo Tancredi e la consorte Giulia Vittorina Colbert di Mont Levriér, con una battuta piuttosto scontata si potrebbe dire che il Barolo ebbe “nobili natali”.
Esempi di descrizioni emotive
Le caratteristiche organolettiche di questo vino sono, almeno a grandi linee, note.
In questi ultimi anni si parla e si scrive della relazione che esiste tra il bevitore e il vino dal punto di vista delle emozioni.
Quest’articolo non può per natura intrinseca affrontare l’argomento, ma ci piace sfiorarlo riportando due descrizioni di tipo emozionale.
La prima è di Mario Soldati ed è tratta da “Vino al vino”:
“… Perché ho detto che è qualcosa di più di un vino? Questa però è una domanda che rivolgo ora a me stesso. Risposta: perché è così denso, così carico di gusti e di aromi, così profondo e misterioso, che si può bere solo a piccolissimi sorsi sebbene non presenti nessuna viscosità. Qualcosa di più di un vino, ma nulla di un liquore”.
Paolo Monelli è un maestro indiscusso della comunicazione emotiva dei vini, per lui il Barolo è questo:
“ … Ha il colore delle foglie autunnali, il fiato fresco della primavera … Poi viene il gusto; quel suo modo suadente eppure energico di prender possesso del palato, con saporosa pienezza, con asciutto vigore. È onestissimo.”
(da O.P. ossia il vero bevitore, ed. Longanesi).
Per restare in ambito letterario ricordiamo ancora un Autore che non fornisce alcuna descrizione, ma solo un attestato, ma che attestato! Henning Mankel (1948-2015) crediamo sia stato l’apripista dei giallisti del Nord Europa nel Sud del continente.
Svenska Dagbladet (Quotidiano svedese), definisce il socio-giallo che ha per titolo “Il cinese” (ed. Marsilio, 2009) “Il miglior thriller di Mankel”.
Da esso traiamo il seguente brano, non prima di avere ricordato che questo “giallo” è atipico perché solitamente le indagini inventate da Mankel vengono svolte e risolte dal commissario Kurt Wallander, in questa occasione, invece, a condurle è una signora di mezza età, magistrato, moglie di un ferroviere e madre di 3 figli, molto, molto simpatica”.
Vediamone il perché:
“Quella sera andarono a letto presto. Staffan sarebbe stato di turno su un treno del mattino. Brigitta non aveva trovato nulla di interessante alla tv, in compenso aveva deciso quale vino ordinare. Una cassa di Barolo Arione del 2002 da duecentocinquanta due corone.”
Se non abbiamo sbagliato i conti, all’epoca, sarebbe costato tra i 20 ed i 25 € a bottiglia, praticamente regalato.
Se, al contrario, i conti, li abbiamo sbagliati ci scusiamo, resta la testimonianza fornita da un grande scrittore a proposito di un grande vino.
Seguirà seconda parte
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